martedì 8 gennaio 2013

Informazione quantistica: battuto il Limite Quantistico Standard nella lettura dei fotoni.

Fonte: Gaianews
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MARYLAND – Pur mantenendo un grado di incertezza minimo, il fotorilevatore del Joint Quantum Institute (JQI) ha stabilito un nuovo standard per la lettura delle informazioni quantistiche codificate nei fotoni battendo lo Standard Quantum Limit (SQL). Lo studio è stato condotto da un team guidato da Francisco Becerra e Alan Migdall. I risultati sono appena stati pubblicati nella rivista Nature Photonics.
Il Joint Quantum Institute (JQI) è una partnership di ricerca tra l’Università del Maryland (UMD) e il National Institute of Standards and Technology. Si occupa di fisica e informazione quantistica svolgendo studi sperimentali nel contesto della computer science. Vediamo di comprendere la portata del passo avanti appena compiuto.
Come è possibile leggere l’informazione codificata nei fotoni? La comunicazione umana ci restituisce un concetto di informazione abbastanza condiviso; tutti sappiamo cosa si intende con informazione parziale o con informazione diretta/indiretta. Le cose cambiano quando abbiamo a che fare con le informazioni contenute in un oggetto quantistico. Le ricerche in questa direzione sono molto utili sia in crittografia che per lo sviluppo di computer che sfruttano i bit quantistici.
Tutte queste innovazioni sfruttano la decodificazione o lettura dei dati “trasportati” dagli oggetti quantistici. Fino ad ora eravamo abituati a leggere singole informazioni in modo diretto e passivo. Nella forma più semplice, le informazioni possono essere lette con un processo chiamato “on-off keying”: un rilevatore misura l’intensità di uno o più fotoni che colpiscono fili o fibre ottiche restituendo il valore 0 o 1.
La logica binaria si accontenta di due “lettere” corrispondenti ai due output di base, 0 e 1 (vero e falso). Cosa accade se implementiamo il nostro alfabeto usando, ad esempio, quattro lettere? Accade che con un singolo impulso possiamo trasmettere più dati (incorporati, ad esempio, in un fascio di fotoni). Un approccio più sofisticato per registrare un segnale (che non sia un semplice on/off, 0 o 1) consiste nel codificare le informazioni con il metodo “phase-shift keying”. In questo caso vengono esaminati più fotoni all’interno di un’onda e l’informazione può essere codificata proprio misurando lo scostamento rispetto al ritmo sinusoidale dell’onda stessa.
Ciò posto, ogni processo di misurazione ha una intrinseca incertezza e questo a prescindere dal tipo di logica sottostante (binaria o meno). Questa incertezza non ha a che fare solo con il noto Principio di Indeterminazione di Heisemberg (secondo cui non è possibile misurare insieme posizione e quantità di moto di una particella).
L’incertezza qui coinvolta dipende innanzitutto dalla natura stessa della luce, ondulatoria e corpuscolare insieme, e dalle difficoltà insite nei tentativi di estrapolare le informazioni da fasci di fotoni. Più semplicemente, le difficoltà aumentano in maniera esponenziale quando ci si sposta dallo studio di un singolo fotone allo studio di una molteplicità di fotoni. Questa constatazione non deve ingannare. Esiste infatti un livello minimo di incertezza nella trasmissione delle informazioni codificate in un fascio di fotoni, livello che conferisce significato alle misurazioni sperimentali: si tratta dello Standard Quantum Limit.
Lo Standard Quantum Limit (SQL) è lo scostamento minimo ipotetico o, meglio, il limite minimo di errore convenzionalmente fissato nello schema-base di cui si servono le registrazioni dell’informazione quantistica. Il limite quantistico dipende da vari fattori: (i) dal numero di fotoni di cui consta il segnale; (ii) dai livelli (binario, quaternario, etc.) di lettura dell’informazione; (iii) da quale proprietà fisica della luce viene usata per trasmettere l’informazione (la frequenza, ad esempio).
Già negli anni Settanta, a seguito degli studi del fisico Carl W. Helstrom, gli scienziati hanno cominciato a pensare che questo limite potesse essere aggirato. Il team del Joint Quantum Institute ha cercato di fare proprio questo affiancando alla registrazione di dati passiva dei fotorilevatori una tecnica di misurazione attiva.
L’esperimento è descritto in dettaglio nell’articolo firmato, tra gli altri, da Francisco Becerra: F. E. Becerra, J. Fan, G. Baumgartner, J. Goldhar, J. T. Kosloski, A. Migdall, Experimental demonstration of a receiver beating the standard quantum limit for multiple non-orthogonal state discrimination, in “Nature Photonics”, pubblicato in rete il 6 gennaio 2013.
Per rendere l’idea anche sommariamente, è possibile riassumerla in questi termini. L’esperimento prevede il lancio di un fascio di fotoni contro una superficie composta da uno specchio e da una lamina d’argento. Questa superficie ha il compito di “filtrare” la luce ricevuta, scomponendola e registrandone varie parti in fasi successive. Come si ottiene questo risultato? Per determinare la periodicità del segnale e, dunque, per scomporlo in parti, viene determinata preliminarmente con un oscillatore una sorta di fase o frequenza-zero. Il segnale in ingresso viene misurato mediante il fenomeno dell’interferenza, mentre ad ogni fase di misurazione il fascio di luce viene combinato con la frequenza dell’oscillatore in modo da poterlo registrare in momenti successivi.
Questo tipo di rilevamento attivo ha condotto a due tipi di risultati. Il sistema JQI è in grado di battere il limite posto dall’SQL per un set quaternario, ossia per un gruppo di quattro stati che codificano informazioni in una frequenza, presentando un tasso di errore quattro volte inferiore rispetto alle misurazioni passive dei fotorilevatori.
Non solo. Se pensiamo a quante lettere contiene il nostro alfabeto, possiamo ipotizzare che uno dei prossimi obiettivi sia l’implementazione del numero di lettere usate nella trasmissione dell’informazione quantistica. Forse una “semantica” dell’informazione quantistica non è più un sogno degli amanti dei racconti di fantascienza.

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