mercoledì 18 novembre 2009

Un progetto tutto italiano per ideare e mettere a punto nuove tecnologie per l’esplorazione nello spazio.

Fonte: Galileo
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Un progetto tutto italiano per ideare e mettere a punto nuove tecnologie per l’esplorazione nello spazio. Sarà sviluppato presso l’Università di Cagliari grazie ai finanziamenti dell’Asi.
Arrivare su Marte e trovare l'acqua e l'ossigeno necessari alla sopravvivenza, senza doverseli portare da casa. È un obiettivo ambizioso, ma non è l’unico che si propone il progetto Cosmic – Combustion Synthesis under Microgravity Conditions, che sarà sviluppato in Italia presso l’Università di Cagliari, dove oggi è stato presentato ufficialmente. Si tratta del primo progetto nel settore dell’esplorazione spaziale umana finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, che ha stanziato 500mila euro per un anno. Per capire di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi di questa iniziativa, Galileo ha intervistato Giacomo Cao, del Dipartimento di Ingegneria Chimica e Materiali dell’Università e coordinatore del progetto.

Professor Cao, in cosa consiste esattamente il progetto?
"L’obiettivo è sviluppare nuove tecnologie per l’esplorazione umana dello spazio che consentano di usare le risorse che si trovano sul posto per procurarsi tutto ciò che occorre. Per esempio, estrarre ossigeno dal suolo lunare od ottenerlo dall’atmosfera marziana. È un settore di applicazione che la Nasa definisce con gli acronimi Isfr - cioè In Situ Fabrication and Repair - e Isru, ovvero Insititute Resource Utilisation".

In che modo ci si può procurare ossigeno sul pianeta rosso?
"Un astronauta normalmente ha bisogno di circa 28 chili di acqua, 600 grammi di cibo, 800 grammi di ossigeno al giorno. L’ideale sarebbe trovare queste sostanze sul posto, o poterle produrre direttamente. Sappiamo, per esempio, che su Marte si trovano microalghe che possono essere utilizzate per la produzione di ossigeno, e la stessa presenza di anidride carbonica sul pianeta può essere una risorsa importantissima. Lavoreremo anche per sviluppare tecnologie per la manutenzione e la riparazione di mezzi e strumenti, e per la sterilizzazione dei campioni prelevati dai siti di esplorazione. Per poter ottenere tutto questo dovremo prima capire se, come e quanto i processi chimici e i relativi prodotti finali siano diversi in presenza o in assenza di gravità".

Come intendente procedere?
"Il primo passo ovviamente sarà capire se le tecnologie già a disposizione possono essere adatte alle nostre esigenze. Successivamente, partendo da ciò che sappiamo sull’atmosfera, sullo stato di gravità e sulla presenza di minerali su Luna e Marte, lavoreremo principalmente nei laboratori d’ingegneria di Cagliari per idearne e svilupparne di nuove. Queste saranno poi sperimentate sul suolo terrestre e in condizioni di scarsa gravità simulata. Nel 2011, se questi test avranno avuto successo, contiamo di ripetere le sperimentazioni sulla Stazione Spaziale Internazionale”.

E quando arriveranno i test su Luna e Marte?
“Per arrivare sulla Luna dovremo, nella migliore delle ipotesi, aspettare il 2020, che è la data prevista per la prossima missione della Nasa. Ma prima di compiere questo passo, è necessario che le sperimentazioni sulla Terra e sulla Stazione Spaziale abbiano ottenuto buoni risultati. A quel punto infatti anche i partner internazionali, come le agenzie statunitense, canadese e inglese, avranno un grande interesse alla messa a punto di queste nuove tecnologie, in grado di aumentare la durata delle missioni e di ridurre i relativi costi”.

Chi altro partecipa al progetto?
“Oltre all’Università di Cagliari sono coinvolti il Dipartimento Energia e Trasporti del Cnr, il Centro di Ricerca, Sviluppo e studi Superiori in Sardegna (CRS4), l’Istituto tecnico Industriale “Enrico Fermi” di Cosenza e, come partner privati, Corem, Esplora e Spaceland.
Un articolo di Caterina Visco

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