martedì 30 giugno 2009

CERN,LHC: Intervista a Fabiola Gianotti, ricercatrice al progetto ATLAS.


Fonte: Libero News
(Un articolo di Giancarlo Meloni)
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La Macchina di Dio
Sarà un segno del destino, ma la fisica continua a litigare col tempo. Ha cominciato con Einstein ad anticipare il tempo futuro, e ora si volta a guardare il passato: una rivisitazione del Cosmo con una specie di enorme microscopio, appunto Lhc, che guarda indietro nei miliardi di anni trascorsi, fino a un decimo di miliardesimo di secondo dal Big Bang, l’esplosione da cui tutto ha avuto origine. Soprattutto con lo scopo di scoprire la supersimmetria dell’Universo, dove ciascuna particella, la conosciamo o no, avrebbe sempre la sua particella simmetrica, una specie di partner in ambito oscuro dotato di caratteristiche complementari, come quella di essere più pesante e con numero quantico diverso. Quasi a dire: l’unico modo per avvicinarsi alla verità è cercarla nel suo simmetrico.
Spetta sempre alla fisica il compito di fare luce tra le cose non ancora chiarite che sono nell’aria. Perché nessuno sembra ancora sapere neppure dove materialmente stiamo andando e quando saremo certi di essere arrivati. Ed è ora di dirlo.
Nell’ottobre prossimo, Lhc si metterà dunque di nuovo in moto. Sono mesi e mesi che diecimila fisici e ingegneri, e metà del mondo, aspettano questa occasione: verificare le cose come stanno, conoscere e fare conoscere i fatti, non le chiacchiere i pettegolezzi le fantasie dei media, tipo buchi neri che divorano la Terra. E tutto anche per ridare una reputazione alla fisica dopo che, per causa di un esperimento cominciato male, se l’era vista un po’ rovinata.
L'Esperimento
Cern di Ginevra, 19 settembre 2008. Il Large hadron collider (Grande collisore di adroni) è stato avviato da 9 giorni nel gigantesco tunnel sotterraneo – 100 metri di profondità, 27 chilometri di lunghezza – dove due fasci di protoni che si muovono in direzioni opposte hanno iniziato a circolare, a velocità via via sempre più simile a quella della luce, per rendere possibile l’insolito fenomeno della trasformazione di energia in materia e migliaia di altri “eventi” finora in gran parte inesplorati.
Sono le 11,20 del mattino e i responsabili dell’avveniristica operazione, riuniti in una sala controllo, ricevono la notizia dell’incidente: un’esplosione, una fiammata, il pavimento di uno dei 1232 cilindri metallici di Lhc ha ceduto, una fuga di elio liquido rende l’aria irrespirabile. Forti l’emozione e la delusione dei presenti, tutti piuttosto euforici per i buoni risultati fino al momento ottenuti. Fra loro c’è anche una giovane signora, Fabiola Gianotti, che adesso, seduta a una scrivania del suo laboratorio, commenta quel difficile momento con una bella voce quasi da ragazzina e l’aria un po’ scanzonata di chi sa passare immediatamente dal ricordo all’azione: «Nessun dramma. Siamo fisici e sappiamo che l’errore è sempre da mettere in conto. Ci si rimbocca le maniche e si riparte subito».
Tempi duri, donne dure
«Quando i tempi sono duri servono uomini duri», ha detto Erwin Schrödinger, Nobel per la fisica nel 1933. «E questi quasi sempre sono donne». Sembra una battuta, ma è realtà bella e buona, specie dopo quanto accaduto in questo ultimo anno al Cern di Ginevra, che anche per rimettere le cose in carreggiata dopo l’imbarazzante flop del 19 settembre ti chiama in fretta e furia una scienziata piuttosto fuoriclasse e il 1° marzo 2009 la nomina direttore di “Atlas”, 3000 fisici e ingegneri alle sue dipendenze, il più grande dei quattro “progetti” su cui è incardinato l’intero, colossale esperimento Lhc.
La fisica europea ha dunque oggi una specie di Milite Ignoto che si chiama Fabiola Gianotti. Ignoto per modo di dire, beninteso. Non c’è istituto di ricerca, di casa nostra o straniero, non c’è comitato scientifico internazionale, non c’è studioso della materia che ne ignori il nome, l’attività, il valore. Ma la gran massa del pubblico non la conosce anche perché non fa nulla per farsi conoscere. Non è scontrosa, ma sta in disparte. Finché ci riesce.
Laureata in fisica delle particelle all’Università di Milano, dottorato di ricerca in fisica subnucleare, membro del Comitato supervisore del “Fermilab” di Chicago (il più importante laboratorio di ricerca Usa) e del Consiglio nazionale delle ricerche francese, immaginavo di trovare in lei una di quelle severe e autoritarie docenti universitarie che si esprimono con parole e concetti comprensibili a pochi. Tutto il contrario. Ha l’aria e i modi della “ragazza della porta accanto”, i capelli scompigliati, il fisico scattante di una sportiva che va sempre di corsa, più che della scienziata immersa nei calcoli. Eppure col talento che ha potrebbe permettersi qualunque cosa, senza aver l’aria di abusare. Mettetele sul naso un paio di occhialini cerchiati d’oro e avrete il più perfetto tipo di manager all’americana, di quelli che ti pianificano in un lampo il lavoro di migliaia di tecnici. Non le manca nemmeno, a tratti, una sfumatura di freddezza, come debbono averla, penso, simili grandi capi, anche se è chiaro che per lei è come un paio di scarpe strette, prima te le levi dai piedi meglio stai.
Fantasia e umiltà
«Alla sua età già responsabile di un progetto come Atlas, le è andata bene», dico sperando di toccare un tasto sensibile.
«Benino», si schermisce con malizia, senza mostrarsi né compiaciuta né infastidita, sebbene l’interesse che la sua nomina ha suscitato confermi che si tratta di un fatto piuttosto eccezionale, anzi unico. «Ma vede», continua senza prendere fiato come se nella domanda ci fosse una trappola incorporata, «per andare avanti, oltre a passione entusiasmo fantasia, serve soprattutto molta umiltà. Come diceva Newton, quello che conosciamo è una goccia d’acqua, quello che non conosciamo, un mare. Me lo ripeto sempre».
Il trasferimento in Svizzera
Peraltro, Fabiola questa difficile promozione non c’è dubbio che se l’è guadagnata alla grande. Dopo laurea e dottorato di ricerca si è caricata sulle spalle il sacco dell’emigrante e ancora oggi, passati vent’anni, non l’ha abbandonato. Concorso dopo concorso, una borsa di studio via l’altra, Parigi Chicago, nel 1994 vince al Cern di Ginevra un posto permanente di ricercatore e si trasferisce definitivamente in Svizzera dove inizia subito a occuparsi della progettazione e della costruzione di Lhc, con una parentesi tra il 1996 e il 2001 in Aleph, uno degli esperimenti realizzati all’acceleratore Lep, il predecessore di Lhc. A poco a poco cresce assieme alla superstruttura che ora dirige e che, come ci si aspetta, rivoluzionerà la fisica e le nostre conoscenze dell’Universo.
Quando lei non è qui, al Cern, a poca strada dal lago di Ginevra, in questo suo ufficio nella sala di controllo di Atlas fra prati alberi giardini con vista del monte Bianco e delle montagne del Giura, che è situato esattamente sopra il rivelatore Atlas - sottoterra nel tunnel di Lhc, alto come una casa di sei piani e pesante come la Torre Eiffel - dove vive? E quando non lavora con fasci di protoni e adroni, cosa fa?
«Ore e ore tra jogging, nuoto e musica. Sono diplomata al Conservatorio di Milano, suono il pianoforte, musica classica, Schubert, Chopin, Bach. Mi piace leggere, specialmente Thomas Eliot, quello di “Assassinio nella cattedrale”, e Flaiano. Mi diverte cucinare, organizzare cene con gli amici. Le torte al cioccolato e alla crema sono la mia specialità. In un certo senso anche la pasticceria è una scienza esatta perché gli ingredienti vanno calcolati con precisione, come in laboratorio. Dove abito? Qui vicino, in una casa molto graziosa che guarda sul lago».
Dunque un’esistenza che non si riassume affatto nella sua eccezionale carriera, anche perché scopri in fretta, è lei a confessarlo, che questa primadonna della ricerca nucleare ha una doppia vita perfetta, dove l’eleganza dell’abbigliamento e lo shopping hanno un posto di primo piano, e le belle scarpe, quelle che costano un occhio, rappresentano per lei una specie di attrazione fatale. Ne ha moltissime, di ogni tipo. Suo fratello, ingegnere, la chiama Imelda Marcos.
Mentre sollecito risposte le guardo le mani. Sono lunghe e molto belle. Ma credo che nessuno le abbia mai viste ferme perché scommetto che non lo sono neanche quando dorme. Mani che sanno lavorare, da usare con l’istintiva abilità della donna e del fisico. I fisici infatti operano personalmente pure sui macchinari più complicati, non hanno bisogno di tecnici, o di operai. Tali e quali Fermi e Segrè, Rasetti e Amaldi, nel mitico Istituto di via Panisperna.
Un’altra mia curiosità. In due parole, qual è il primo obiettivo che lei si propone di raggiungere con questo superimpianto Lhc, che è un po’ anche una sua creatura considerato che lei ha contribuito a farlo nascere, a cominciare dalla progettazione e costruzione del calorimetro di Atlas?
«Io credo che questo esperimento possa segnare una svolta nella ricostruzione della grande avventura dell’Universo e che darà soluzioni e spiegazioni a problemi e interrogativi fondamentali relativi alla struttura della materia, all’origine della massa, alla composizione del Cosmo. Atlas e Cms (l’altro grande progetto, coordinato dall’indiano Tejinder Virdee) cercheranno di risolvere misteri del tipo: i quark sono costituenti elementari della materia o sono a loro volta costituiti da altre particelle? Esiste il bosone di Higgs, cosiddetto di Dio, la particella ipotizzata per spiegare il fatto che particelle elementari possiedono una massa? Di cosa è fatta la materia oscura, che rappresenta il 20% dell’universo, e di cui non sappiamo niente? Soprattutto vogliamo scoprire la particella supersimmetrica che può spiegare questo mistero».
La passione per il tacco 12
Ci vorranno fiuto e fortuna eccezionali per ottenere questi risultati, inserirli nel giro logico di un sistema perfetto, provarli e riprovarli, averne la verifica. Uno pensa: in un ambiente come quello della scienza, in cui tutti sono classificati in base alla riuscita, una donna al vertice non stona. Se però ha l’aspetto e la voce di una trentenne, la incontri in tuta e scarpette da ginnastica mentre corre nei vialetti del Cern, o magari la sorprendi mentre nelle boutiques di Ginevra si compra “décolléte” con 12 centimetri di tacco, qualcosa comincia a cambiare. Ma tant’è. Lei se ne infischia. Non riuscirebbe, anche se volesse, a essere diversa. Il fatto è che questa signora è nata con l’autorevolezza in corpo: un dono indefinibile, che pochissimi hanno, che non si sa bene in cosa consiste e dove risiede, e di cui lei stessa sembra non essere consapevole.
Senza apparente fatica, puntuale come un orologio svizzero, ogni giorno alle 7,30 Fabiola Gianotti è al lavoro nel suo ufficio o nella sala controllo di Atlas, oppure nell’anello sotterraneo di Lhc, dove si battono i denti perché la temperatura è polare (all’interno dei 1232 cilindri metallici è prossima allo zero assoluto, -271 Centigradi), pronta a affrontare enormi, eterni enigmi scientifici da togliere il fiato. E spesso si è già macinata un’ora di jogging. Perché, uno si chiede, qualche star di cinema o tivù, di quelle che giudicano la puntualità incompatibile col prestigio, non è lì a vederla? La lezione gioverebbe.
«L’unica conferma della validità di un’idea è l’esperimento», ha scritto il grande fisico americano Richard Feynemann. Nel mondo di oggi la forza di questo concetto ha lasciato sulla scienza un’impronta profonda e ora, con Lhc, si presenta la migliore occasione: quella di potere finalmente “toccare con mano” autentici misteri universali.
La ipotetica formazione di buchi neri all’interno di Lhc, voragini capaci di inghiottire la Terra, sarà un rischio probabile? chiedo.
«È una paura ridicola. Per un evento così sarebbe necessaria una quantità enorme di energia che non potrà mai essere ottenuta in nessun esperimento artificiale. E c’è da dire che nello spazio si registrano continue collisioni, circa diecimila al secondo, da cui si sprigionano energie miliardi di volte superiori a quelle che otterremo noi, e finora nessuna ha mai provocato catastrofi».
Quali risultati prevede, o spera, da Lhc?
«Verificare se in natura esistono altre forze oltre a quelle che conosciamo, scoprire nuove particelle elementari, studiare l’infinitamente piccolo per poter capire l’infinitamente grande. In particolare, ricercare e individuare le particelle supersimmetriche anche perché una di queste, il “neutralino” ammesso che esista, oppure qualcosa di equivalente, potrebbe spiegarci la materia oscura, di cui non sappiamo niente. Le nostre attuali conoscenze dell’Universo sono poche. Ci risulta che solo il 5% è composto degli atomi che conosciamo, mente il 20% è materia oscura e il 75% energia oscura. I rivelatori Atlas e Cms cercheranno di risolvere incognite di questo tipo, mentre il rivelatore LhcB, coordinato dal fisico russo Andrei Golutvin, indagherà sul perché c’è così poca antimateria nel nostro universo e il rivelatore Alice, diretto dal tedesco Jurgen Schukraft, studierà le caratteristiche di un particolare stato di materia: il plasma di quark e gluoni, le particelle che tengono uniti i quark».
Difficile uguagliare il taglio nitido e chiaro delle spiegazioni. Non fa pesare la eccezionale preparazione fisicomatematica, e la sua modestia, non sappiamo fino a che punto sincera, ti fa spesso venir voglia di ringraziarla.
Il camice bianco e i maglioni
Ci sono in giro molte fotografie di Fabiola Gianotti. Nessuna somiglia all’altra anche se tutte somigliano all’originale. C’è una Fabiola bruna e notturna come un’ala di corvo e ce n’è un’altra leggera e trasparente come una guaina di cellofan; ce n’è una loquace, che ispira confidenza, e un’altra taciturna, che mette soggezione. Come diavolo faccia questa donna a trasformarsi nello spazio di pochi minuti o secondi soltanto lei lo sa, o forse non lo sa nemmeno lei. In ogni caso, non c’è dubbio che è molto meglio delle sue immagini che circolano. Alta, sottile, porta eretto sul collo un volto asciutto, dai lineamenti delicati e in rilievo, incorniciato da capelli corvini che le fanno aureola sulla fronte. Le parsimoniose misure d’ordinanza che il Cern e le continue riunioni di vertice prescrivono le vanno un po’ strette, in tutto: dal camice bianco, che indossa pochissimo, ai giacconi, casco e maglioni che il freddo del tunnel sotterraneo richiede.
I fatti parlano chiaro, diceva il solito beninformato: le scienze esatte sono per i cervelli maschili! Fabiola Gianotti è la dimostrazione del contrario. E che un grande scienziato può sempre arrivare primo, anche se è donna. Anche se è interamente “fatto in casa”, figlia com’è di un geologo piemontese e di una laureata in lettere siciliana, cresciuta e educata a Milano da illustri maestri italiani (Mandelli, Di Lella, Fiorini) nella scuola di fisica di via Celoria. «Non è seconda a nessuna, almeno in Europa», sottolinea. Poi con la consueta calma e l’istintivo ottimismo aggiunge: «Stiamo consolidando l’acceleratore Lhc in tutte le sue giunture. Entro ottobre ripartiamo. I primi giri dei fasci di protoni erano andati benissimo. Quindi una doccia fredda, ma è passata».
E già Fabiola Gianotti pensa alla costruzione di un altro acceleratore elettrone-positrone, una macchina di grandissima potenza e precisione per approfondire le nuove conoscenze che Lhc fornirà.



17. Fabiola Gianotti, LHC Collisions, épisode 17
by lhc_collisions

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